Serra di Crispo

Dove la natura e i monumentali Pini Loricati parlano al cuore.
Questa volta siamo saliti dal santuario della Madonna del Pollino, percorso più breve e più interessante. Si attraversano vari e diversi ambienti, dopo il fosso di Jannace è diventata escursione prettamente invernale. E i monumentali Pini Loricati in ambiente innevato non hanno uguali. Imponenti, possenti, poetici, espressione all'ennesima potenza della magnificenza della natura.


I Pini Loricati del Pollino esercitano un forte richiamo, due anni fa, i primi di giugno, Marina li ha conosciuti sotto scrosci d’acqua continui e da dentro una cappa di nuvole, situazione che ha creato un momento di magia incredibile e indimenticabile ma che ha anche lasciato un senso di incompiuto; saremmo tornati presto, ce lo eravamo promesso da subito e per questo “ponte” del 25 aprile il Pollino è rientrato di nuovo tra le nostre mete. Ormai siamo di casa a Rotonda, non abbiamo trovato posto all’agriturismo Senise, loro stessi ci hanno dirottati al B&B Il Pettorosso che è stata una ulteriore conferma all’ottimo livello di ospitalità e servizi che la Basilicata ha raggiunto. Effetto parco? Solo pochi giorni prima di partire abbiamo cambiato il programma; volevamo salire alle Serre di Crispo e delle Ciavole la prima giornata e su quella di Dolcedorme la seconda giornata con partenza da Colle dell’Impiso per entrambe. L’idea di salire alle Serre dal santuario della Madonna del Pollino mi è venuta per caso, ricordando il vecchio e caro amico Marco che mi ha introdotto a queste montagne; non eravamo esattamente alloggiati nelle vicinanze ma eravamo in vacanza, il tempo non sarebbe mancato, valeva la pena conoscere altri versanti e sentieri ed un bel chissenefrega ha risolto il problema della distanza che ci divideva dal punto di attacco ed ha modificato i progetti. Da Rotonda al santuario della Madonna del Pollino sono solo una trentina di chilometri, ma ci si impiega un’ora per arrivare, nel mezzo uno sproposito di curve e stradine, di piccoli borghi di case contadine ed è solo grazie a Google maps se non si indugia ad ogni incrocio incontrato. Nel girovagare per l’avvicinamento, superata Rotonda e Viggianello, si sale un altipiano e prima di scendere sul versante opposto verso San Severino Lucano c’è tutto il tempo di godere un affaccio vasto e panoramico sulle principali montagne del parco, guidava Marina per risparmiarsi il più possibile “l’effetto curve” ed ho avuto modo di studiarmi la situazione che vedeva una presenza di neve importante, impensabile quanta sui versanti del Pollino e del Dolcedorme; eravamo piuttosto lontani ma qualcosa mi diceva che non prometteva bene, non avevamo minimamente pensato di attrezzarci in tenuta invernale. Non rimaneva che andare a scoprire che aria tirasse lassù, ed in fondo poi una escursione tra i Pini Loricati con la neve chi l’avrebbe rifiutata? Il santuario della Madonna del Pollino è arroccato a quota considerevole, il rifugio del Pino Loricato poco lontano dal parcheggio di arrivo è di poco più alto, siamo già a 1540m. di altezza, ci accorgeremo strada facendo che i vari saliscendi anche pronunciati faranno salire il dislivello da superare. Il sentiero inizia alle spalle del rifugio, scende subito di quota, frequenti i segnali e non è difficile immettersi sulla traccia che aggira l’evidente sperone a sinistra, con affaccio sulla profonda valle dell’Acquafredda e sui profili della Serra del Prete e del Pollino belli carichi di neve. La segnaletica sui tronchi in buona vista ed anche molto frequente consente di procedere senza problemi di direzione da scegliere, una bella luce filtra tra gli alberi ancora spogli e radi, per alcuni tratti il sentiero scorre largo e facilmente individuabile anche senza segnaletica, per ora non c’è traccia di neve. Per almeno un chilometro senza grossi dislivelli fiancheggiamo sulla sinistra basse elevazioni boscose le cui creste spoglie si individuano facilmente fino a che non si inizia a scendere all’interno di una valle e compiono le prime tracce di neve, siamo nei pressi del fosso Jannace, tanto che non tarda a sentirsi l’allegra musicalità dello scorrere dell’acqua. Un ponticello (+1,10 ore), la neve depositata lungo il fosso, la tenue luce che filtra e accende di riflessi le piccole cascatelle rendono pieno di fascino il momento del guado; subito oltre si riprende a salire sul versante opposto, direzione piano di Jannace, che raggiungiamo dopo un attraversamento di un bel bosco di abeti e pini, preludio ai più fascinosi e meno comuni Loricati. La traccia rimane evidente e ben marcata dalle bandierine bianco rosse, meno precisi sono i tempi che vengono esposti sulle segnaletiche, la luce che si fa più forte e la sagoma della cresta della Serra di Crispo tra gli alberi annunciano la grande spianata priva di vegetazione del piano di Jannace (+25 min.). Incastrato nella boscaglia, con i profili del Pollino e della Serra di Crispo a far da fari, la piana è ancora carica di neve, marcia e sull’orlo di diventare un fiume in piena, è lastricata di isolotti d’erba zuppa che sta emergendo dall’inverno, dove non c’è pendenza sono degli autentici pantani; i crocus la fanno da padroni, spuntano ovunque, si fanno largo tra la neve, e colorano vivacemente le macchie erbose. Sul piano dove manca la vegetazione paletti a regolare distanza segnano la via, scesi nel punto più basso del piano e attraversato un piccolo rio di scolo si riprende a salire sul versante opposto in leggera pendenza, direzione l’evidente e sempre più vicina Serra di Crispo dove anche se lontani si fanno già notare i monumentali Pino Loricati. Una larghissima traccia tra la rada faggeta rende inutili i segnali sugli alberi, seguiamo il calpestio di alcuni ragazzi che ci hanno preceduto e grazie alle ciaspole ci hanno preparato bene la via, la neve ancora tiene in questi tratti e saliamo senza problemi su un piacevole dislivello e sempre su ampi slarghi tra la boscaglia; la serra col suo giardino monumentale ci scorre a sinistra, ci sovrasta e ci entusiasma, è quasi arrivata l’ora di iniziare la salita vera verso il Giardino degli Dei e quindi verso la vetta. Cominciavamo a capire l’andamento della cresta e cercare i punti di attacco alla salita, era evidente la Serretta della Porticella e la sella che la precedeva, la Porticella della Serretta che poteva rappresentare la linea di salita quella più intuitiva e abbordabile. I ragazzi che ci hanno preceduto hanno seguito la linea di sentiero “normale”, provando ad uscire dalla loro traiettoria, per tentare di accorciare mi sono accorto che la neve era crostosa e reggeva il peso, in questi spazi liberi da vegetazione il sole aveva fatto la sua parte e prendo a deviare verso sinistra, ad avvicinarmi alla serra, belle linee morbide salivano dolcemente e tra il bosco si intuivano altre linee che potevano non poco aiutare a salire dislivello con facilità senza arrivare alla Porticella, il punto era solamente se una volta sotto gli alberi la neve avesse retto ancora, Marina mi incoraggia e decidiamo di continuare. Fino al bosco abbiamo passeggiato letteralmente, senza faticare un solo passo ma una volta sotto i primi rami la musica è cambiata, si sprofondava e di neve ce ne era anche parecchia; il bosco era però formato da macchie e slarghi, dove si sprofonda nei primi dove si passa meglio nei secondi, subendo i primi e ringraziando i secondi avanziamo comunque fino a trovare i primi tratti più ripidi. Marina mi segue, apro la strada ed in qualche punto più ripido fatico a districarmi ma pericoli non ce ne sono, le variazioni di pendenza segnano momenti di tregua e complici i Pini Loricati che formano l’orizzonte e che si avvicinano ci siamo trovati alti che quasi non ce ne siamo accorti. Quando raggiungiamo i primi Pini Loricati la faggeta ovviamente sparisce, non sono nemiche le due specie, è una questione di tempi di crescita, la seconda cresce velocemente e soverchia anche la sola possibilità di trovare spazio ai nuovi Pini; la cresta non è più lontana ma inaspettatamente cresce anche lo spessore del manto nevoso, per fortuna il versante è disseminato di rocce e di ginepri, più le prime dei secondi ci permettono di trovare dei passaggi, dove non ci sono finiamo a galleggiare nella neve fino alle ginocchia. Ma è un dettaglio, perché nel frattempo eravamo dentro al famoso Giardino degli Dei, già visto, per me anche più volte, eppure sempre torna ad essere uno stupore incredibile ed unico. Ogni albero è un monumento, ogni dettaglio di questi una emozione, le radici possenti, grosse, piegate e contorte, i tronchi enormi, la corteccia a scaglie che richiama la Lorica, la corazza degli antichi romani da cui prendono il nome. La scura chioma di aghi robusti ricorda in qualche maniera i nostri Pini, i Mughi soprattutto, ma sono solo questi e dettagli che imparentano nella nostra immaginazione i Loricati alle specie a noi più vicine, è qualcosa di indescrivibile a che occorre solo vivere per potersene rendere conto. Molti i Pini morti, secchi, asciutti, levigati, eppure mirabili, eretti ad abbracciare quelli vicini, molti quelli che da uno scheletro legnoso fanno spuntare isolati rami rigogliosi a rimarcare la loro incredibile forza e longevità, molti quelli abbattuti, a terra, senza vita nei loro tronchi eppure integri nella loro figura. Isolati o a piccoli gruppetti non formano mai un vero bosco, forse da qui l’idea di giardino, e proprio di giardino si tratta in effetti, dove tutto è così perfetto che è facile col nostro egocentrismo pensarlo come opera dell’uomo. Con lentezza raggiungiamo la cresta, il tempo sembra fermarsi quassù, non c’è più fretta di fare nulla se non di lasciarsi travolgere da questi alberi e dall’atmosfera che riescono a creare. Poesia. Uno sguardo ad Est e a Sud Est, il grande altopiano del Raganello fa convergere lo sguardo verso le famose e omonime gole, la sorgente del fiume è poco sotto la vetta della montagna, giù in fondo confuso nella foschia si riesce a percepire il mare, la piana e il golfo di Sibari, è lo Ionio. Ci fermiamo su delle comode rocce proprio in cresta, alla stessa altezza della vetta che si trova poche centinaia di metri più a Nord (+ 2,10 ore), siamo soli, siamo i primi e a parte il leggero soffio di un venticello fresco il silenzio è assoluto, il momento è perfetto. La fotografia che abbiamo davanti, gli orizzonti , è semplicemente bellissimo, le linee che scendono e risalgono, la Serretta, la Grande Porta del Pollino, la Serra delle Ciavole che si rialza dopo, sono poco lontane a continuare la dorsale dove siamo; nel mezzo la grande piana del Pollino, si intuisce che sia stracolma di neve, sul fronte opposto lo skyline della Serra Dolcedorme che continua in direzione Nord col Pollino e si chiude sulla Serra del Prete, ai nostri piedi i tantissimi Pini Loricati, ognuno diverso ed unico, ognuno monumentale, non si finisce di meravigliarsi di quanto sia bello questo posto. Quando lentamente arrivano i ragazzi che avevamo lasciato dietro e poi un altro piccolo gruppo anticipati da una graziosa cagnetta in cerca di qualche briciola dei nostri panini riprendiamo fino alla vetta con un traverso poco sotto la cresta e superando davvero poco dislivello. Una sosta breve per tornare sui nostri passi, il vento stava aumentando, complici anche le scarpe non propriamente invernali che avevano fatto passare tutto il possibile, iniziavamo ad avvertire freddo, la sensazione di intorpidimento ai piedi era forte, occorreva riprendere calore. Per la discesa filiamo in cresta superando altri momenti di poesia ad ogni gruppo di Pini che si incontra, fino alla Porticella della Serretta, è poi la traccia dei tanti che sono saliti dopo di noi; non c’era tempo e condizioni per continuare il giro che avevamo in programma, la Serra delle Ciavole rimarrà il motivo per tornare. Pare quasi che capitino a proposito questi imprevisti atmosferici, ogni volta uno ma sufficienti a darci il motivo in più, la volta precedente pioggia e nebbia, oggi neve che ci ha rallentato non poco, che vi credete care Serre che ci manca la voglia di venirvi a ritrovare? Lentamente altri scorci ci passano davanti, altri angoli di questo giardino, altri alberi monumentali, non ce ne uno uguale all’altro, non ci si stanca mai di guardarli e come sempre dispiace abbassarsi di quota, vederli piano piano allontanarsi. Sulla Porticella i primi faggi e di conseguenza addio Pini che rimangono solenni a punteggiare di scuro i versanti innevati e ad interrompere le dolci line di cresta. Procediamo a vista, ormai ci sono così familiari che sono come le montagne di casa, intercettiamo la traccia di chi ci ha proceduto con le ciaspole ma non ci aiuta, la neve al sole ha mollato e di sfonda spesso. Per fortuna è tutta discesa leggera, sfioriamo Fontana Pitt’accurc (+30 min) circondata di neve eppure gorgheggiante di acqua, per fare qualche foto ci finisco fino all’inguine nella neve e fatico a tirarmi fuori. Da qui in poi è una volata, al piano Jannace le zone erbose sono molto più ampie, fa in fretta la neve da queste parti a sciogliersi, il terreno è una spugna, si cammina nell’acqua tanto che conviene cercare la neve, è più asciutto, le linee di sentiero sono trasformate in ruscelli, le piccole conche nella piana in altrettanti piccoli laghetti, inutile dire che non c’è comunque fretta di andarsene tanto è unico e bello anche questo angolo. Fino al fosso Jannace la neve non ci abbandona, al contrario della mattina dentro il bosco si sfonda meno, il sole non è entrato e la neve tiene ancora. Fuori dal fosso Jannace torniamo all’asciutto, fine della neve, ciò che rimane è una lenta passeggiata fino al roccione, dove si risale un po' prima di rivedere il tetto del rifugio (+1,55 ore). Una visita al santuario della Madonna del Pollino che però troviamo chiuso e da cui, non mi ero accorto prima, si gode una bella vista sulla Serra di Crispo, chiude la giornata. In macchina ci aspetta una strafogata di curve e poi il nostro accogliente B&B, ed un problema da risolvere, la meta di domani, che dal colle dell’Impiso doveva essere Serra Dolcedorme; troppa la neve, una ammazzata annunciata sarebbe e soprattutto l’ultimo tratto sotto la vetta della Serra troppo ripido in queste condizioni. C’era tutta una serata per escogitare il piano B.