Dalla vetta del Monte Ienca uno dei panorami più belli di tutto il Gran Sasso


Nella periferia Nord della lunga cresta delle Malecoste, il Monte Ienca è la penultima grande vetta del Gran Sasso prima del San Franco; salire dal versante Aquilano è forse la maniera più banale per salirlo, ma è di certo anche la via più semplice, corta e diretta, adatta per dirla tutta ad una lunga passeggiata. La salita monotona  per pratoni e, per brevi tratti, lungo la carrozzabile che arriva fin quasi in cima , viene ripagata dagli scenari alpestri che si aprono quando si arriva in prossimità della sella. La descrizione del percorso è semplice e non servono grandi consigli per raggiungere la cima, saranno le foto in vetta che descriveranno meglio di ogni commento il perchè valga la pena salire questa montagna.
La partenza in questo primo giorno Novembrino avviene al defilarsi delle nebbie che ci hanno accompagnato fin qui; uscendo dall’autostrada al casello di  Assergi prendiamo verso destra e alla rotonda invece di continunare verso Fonte Cerreto prendiamo a sinistra verso Passo delle Cappannelle; dopo circa cinque chilometri,  poche curve dopo San Pietro allo Ienca , in prossimità di un accentuato tornante verso sinistra parcheggiamo l’auto in un comodo spiazzo proprio nelle vicinanze dell’evidente fontanile, sulle carte contrassegnato come Fonte San Bernardo a circa 1280 metri di altezza.
Come dicevo proprio al nostro arrivo le nebbie si dissolvono lentamente; il fosso da dove parte il sentiero è proprio dietro le due fonti, la seconda è poche decine di metri più in alto. Lo Ienca è esattamente davanti, quel lungo pratone inclinato che abbiamo sopra di noi.
Entriamo nel canale del fosso e lo risaliamo fin tanto che è possibile; in condizioni asciutte per circa 250/300 metri fino ad intercettare la carrozzabile, in alternativa, dopo aver risalito le prime anse ghiaiose ci si butta sui ripidi pendii che avrete sulla destra fino ad intercettare anche in questo caso, la stessa carrozzabile poche centinaia di metri prima.
Lo stradone ghiaioso proviene da un ovile più a valle, compie un lungo percorso per assecondare il pendio della montagna e permette di raggiungere la sella tra il Camarda e lo Ienca, sulle carte è il sentiero ; è preferibile abbondanarlo immediatamente e scegliere una linea di salita più diretta assecondando la pendenza sui tanti “sentieri” tracciati, vuoi dagli agenti atmosferici, vuoi dal passaggio degli animali al pascolo ma che di fatto formano una fittissima ragatela di gradoni ghiaiosi paralleli a formare una miriade, appunto, di “sentieri” facili da percorrere. Alla fine si tratta di salire una interminabile scalinata naturale che senza accorgersene fa superare dislivelli notevoli  in pochissimo tempo e con poca fatica.
Salendo la vista della valle si allarga fino ad Assergi, la lunga murata delle Malecoste è un piano inclinato infinito solcato da tanti canali; da questa prospettiva  sorprende sempre l’impressione  che si ha di minore pendenza  di queste pareti  rispetto al potente impatto di verticalità che si ha mentre le si osserva dall’autostrada. Le prospettive, a parte l’altezza che aumenta, non cambiano durante questa fase del percorso; camminare in montagna e all’aria aperta è sempre bello ma questo tratto dell’escursione  sa un po’ di monotonia, per fortuna le nebbie si sono completamente dissolte ed il sole scalda come in una splendida giornata di fine estate. Intorno ai 1700 metri di altezza intercettiamo di nuovo la carrozzabile, a queste altezze molto più disconnessa e a tratti al limite del percorribile; dopo averla percorsa per un breve tratto l’abbandoniamo di nuovo puntando verso l’alto. Forse un centinaio di metri di dislivello, forse nemmeno la intercettiamo ancora, in prossimità di un vascone di un fontanile asciutto; siamo quasi a quota 1900 metri, la pendenza diminuisce e anche i pendii si fanno più arrotondati. La croce del Camarda è piccola ma  si distingue sulla cima più alta alla nostra destra, la strada supera uno stazzo dentro una valletta e si inoltra sinuosa  con poca pendenza all’interno di una sella. I prati si caricano di colore ed il paesaggio cambia di colpo. Nel piano erboso alla nostra destra spicca un piccolo laghetto rotondo, sulla linea verde dell’orizzonte davanti , ancora di pochi metri più alta rispetto alla carrareccia si proiettano sullo sfondo azzurro del cielo le sagome di cavalli al pascolo. Siamo ormai quasi in piano ma ogni passo, che facciamo sempre più lentamente, scopre prospettive diverse. Un secondo laghetto, proprio sulla sella, non riesce a specchiare la sagoma del monte Corvo che lentamente esce allo scoperto sulla linea dell’orizzonte; troppi cavalli all’abbeveraggio rendono le sue acque melmose. Un paesaggio alpestre inaspettato ed improvvisamente l’escursione cambia completamente interesse; ed è niente, perché inizando a salire il pendio dello Ienca è come giocare ad estrarre dal classico cappello, continue sorprese. La mole del Corvo è sempre più imponente mentre lentamente cominciano a comparire le sagome dell’Intermesoli, del Corno Grande e tutta la cresta erbosa fino alla cima del Camarda verso sud-est e quelle della Laga, vicinissima, e del placido Lago di Campotosto steso irregolarissimo ai suoi piedi, verso Nord.
Un paesaggio emozionante,  fermo nella sua staticità eppure capace di comunicare una infinita pace come poche volte mi è capitata di vivere. Forse è la luce novembrina che attenua i colori, i contrasti sono poco marcati, il verde ormai di fine stagione dei prati in quota ed il rosso dei boschi della Val Charino spiccatamente autunnali, contrastano,  senza predominare ne da una parte della scala cromatica ne dall’altra, con l’azzurro del cielo ed il biancore delle immense nude pareti rocciose dei colossi del Gran Sasso che abbiamo di fronte.
Tra la Laga ed il Corvo, più lontano, imponenti formazioni nuvolose non fanno sconti alle pianure verso l’Adriatico. Tutto questo non smettiamo mai un secondo di viverlo, quasi non siamo mai riusciti di smetterla di meravigliarci di quanto potesse essere bello un panorama pure così familiare e rimaniamo per più di 30 minuti in vetta, appoggiati al grosso cumulo di pietre che regge oggi una posticcia quanto approssimativa croce. Mentre mi dedico per qualche minuto a cercare di catturare quelle immagini pensando già di regalarle a quanti avranno la voglia di leggere di questa escursione, mi chiedo quanto di tutto quello che mi stava entusiasmando riuscisse a rimanere nelle immagini che avrei da li a poco trasformato in fotografia. Non mi illudevo, sapevo già che la realtà non si sarebbe mai fatta catturare fino alla sua anima che lì riuscivamo a vivere e sentire.
Solo un vento freddissimo che nel frattempo si è alzato, cui spesse nubi che hanno coperto il sole hanno aiutato a far abbassare repentinamente  la temperatura, ci ha convinto ad indietreggiare e a prendere la via del ritorno. Probabilmente saranno le ultime  immagini  montanare in versione “estiva”  che avremo vissuto per il 2013, non male come chiusura della stagione buona; io e Marina ce le terremo  care nel lungo inverno che abbiamo davanti.
La discesa è veloce, senza percorrere la strada ci caliamo perpendicolari gradinando come all’andata. I giorni successivi i doloranti quadricipiti ci ricorderanno ogni istante di questa scelta; per oggi  ci hanno  aiutato a calarci fino all’auto in meno di 2 ore e a darci modo di concludere la giornata alle prese con una spettacolare amatriciana dalle parti, appunto, di Amatrice.
Non prima però, di aver rubato altri scorci infinitamente belli di queste montagne, questa volta  che si specchiavano, nelle calme, limpide e dal color acquamarina, acque del Lago di Campotosto .