Andata e ritorno dalla Val di Fua sulle montagne della Duchessa

Dal Murolungo a Cimata di Macchia Triste passando per lo Iaccio dei Montoni

Quando si andava in montagna “solo” per camminare. Quando si andava in montagna “solo” per fare esperienze e per farsi prendere dai panorami, dalle fatiche sostenute, dalle difficoltà della neve alta da superare come era stato nella prima salita al Murolungo, il 31 Marzo del 2007. Allora non c’era ancora il “Club 2000”, eravamo “puri”. E in quella occasione, conquistato il Murolungo, sopraffatti dalle emozioni che quel balcone naturale ci stava dando, non ci siamo nemmeno accorti che a pochi minuti dalla croce di vetta c’era un’altra cima, banale certo, ma pur sempre una vetta sopra i fatidici 2000 mt. Quella volta tornando a casa e guardando le carte, ci siamo accorti che avevamo mancato di poco un altro traguardo. Poi è arrivato il gioco del “Club2000” e l’aver mancato allora lo Iaccio dei Montoni è diventato un neo, un vuoto da colmare nel nostro curriculum. Una macchia che avrebbe costato fatica perché la salita così impegnativa per una montagna così banale non era proprio giustificata. Ma io mi sono “incarognito” nonostante la recalcitranza di Giorgio. Luca è stato l’uomo che mi ha permesso di mettere in programma l’uscita allo Iaccio. Convinto Giorgio, piuttosto facilmente ad onor del vero, ad uscire con noi non rimaneva altro che iniziare la sfacchinata. L’idea di sfruttare la Val di Teve come percorso di uscita, è sta scartata perché non siamo riusciti a raccogliere abbastanza informazioni sulla libertà di accesso. L’ombra di una possibile infrazione al divieto ci ha fatto desistere. Rimaneva la discesa per lo stesso percorso di salita: la Val di Fua. In effetti a tratti la Val di Fua ci fa soffrire. Inizialmente, all’interno del bosco, i tornantini sono agili e frequenti e ci permettono di prendere quota agevolmente. E’ tutto diverso rispetto alla salita precedente: la vegetazione è rigogliosa, il terreno è asciutto e compatto, la forra panoramica si fa apprezzare appieno. L’ultimo tratto del percorso per raggiungre il vallone che conduce al lago della Duchessa, si sposta sul versante sinistro; si inerpica per ripidi tornanti sassosi. Guadagna quota repentinamente ed alcuni passaggi, forse in maniera un po’ eccessiva, vengono anche assicurati con la presenza di ferrate di protezione. Intorno alle 8 e 20, dopo un’ora e cinquanta minuti di cammino, usciamo dal bosco in prossimità delle Caparnie, una serie di rifugi in muratura. Il primo è occupato da escursionisti che lo hanno assediato di tende nelle quali hanno trascorso la notte; il secondo è invece abitato e questo è stao uno dei momenti di umanità più forti che abbiamo vissuto in tutte le nostre escursioni. L’abitante di questa “Caparnia” è Gregorio, un pastore settantaquattrenne che, come dice lui, sono settantacinque anni che vive e lavora lì. Ci staziona in primavera e in estate, finché la neve non copre il piano, a protezione del suo gregge insieme ai suoi fidi cani. Ci tratteniamo con lui per una ventina di minuti, forse di Più. Ci parla della sua vita, delle difficoltà che incontra con i lupi, ormai secondo lui troppo diffusi nel territorio. Ci fa entrare nella sua casa-capanna. E’ uno spaccato di vita. All’interno, due stanze. Tutto sa di fumo. Deve far freddo la notte; il camino dà segni di utilizzo recente; le pareti sono annerite dal fumo, l’aria che si respira all’interno è acre di fumo. Tutta la vita di un pastore, essenziale, è racchiusa in una stanza; un tavolo, due sedie e tutto ciò che può essere del mestiere appoggiato o appeso alla rinfusa. Tutto è ovviamente annerito dal fumo. Nella stanza attigua, buia, piccola, un letto, chissà quanto saprà di fumo, ed un asse alla parete dove sono a stagionare dei formaggi, che sicuramente sapranno di fumo. Gregorio è abile nel parlare il suo dialetto stretto; sconfina anche nella politica locale del Parco; dimostra poi di non essere lo stereotipo del pastore che tutti quanti immaginiamo. Conosce la vita del territorio e la politica che lo gestisce; i giochi, i poteri e le manchevolezze degli amministratori. Ma intuisce anche la nostra ingenuità. Gli acquistiamo una forma di pecorino, ce lo divideremo Giorgio ed io; e il pastore, con un fare da commercilae sornione e navigato, ci strappa un bel 40 Euro. Giorgio si fa intenerire; per me va bene lo stesso perché comunque sia è stao un incontro che non se fanno spesso. Gregorio è un personaggio che ha fatto la storia di questi monti, forse è l’ultimo pastore vero, però è anche un uomo che conosce il mondo e gli uomini. Un furbo. Questo giudizio mi divide da Giorgio. Riprendiamo il nostro percorso e deviamo dal progetto iniziale di raggiungere da prima il lago. Andrea ci spinge a prendere in considerazione l’idea di attaccare direttamente il Murolungo. Giorgio giudica possibile la cosa, io rimando l’ok a dopo aver visto la parete dalla selletta alla nostra destra; da lì le difficoltà della ascesa saranno sicuramente più visibili ed esatte per un giudizio finale. Lo raggiungiamo per un sentiero facile facile e lì bivacchiamo per la prima sosta della giornata; abbiamo così anche tutto il tempo che vogliamo per una ripetuta ed analitica osservazione della montagna. La parete è esposta leggermente, ma a tratti, tra salti di roccia e prati, si presenta abbastanza ripida. Ci sono solo due corone rocciose, la prima più imortante della seconda che giudichiamo comunque possibili. Decidiamo così di aggiungere un po’ di avventura all’escursione. Luca, come sempre, attratto dalla verticalità che conduce alla vetta, innesca il suo motore con una marcia in più e si allontana velocemente. Giorgio non è d’accordo con la sua iniziativa, teme per la poca esperienza di Luca, ma sono bastati pochi consigli per affrontare il giusto percorso che è già sopra la prima corona di rocce. Andrea ed io lo seguiamo a distanza, dietro Giorgio che ha qualche problema di stomaco. Nel primo salto di rocce faccio scelte un po’ inopportune che mi portano ad affrontare tratti un po’ esposti e a volte friabili. Nessun enorme problema, ma una serie di piccole difficoltà che mi fanno attardare. Dopo alcuni passaggi impegnativi ma evitabili e al fine comunque interessanti e adrenalinici, sono sopra la prima corona; un po’ dietro solo Giorgio, mentre Luca è già quasi in vetta. Un ripido pratone ci spalanca l’orizzonte sul Gran Sasso. Il resto della salita fino alla croce di vetta è ripido a tratti ma facile. Con Andrea raggiungo la cima alle 10 circa. Giorgio si attarda un po’, intuisco che oggi non è proprio la sua giornata. In vetta, il panorama che ci si offre è impressionante, tanta è la vastità degli orizzonti.Luca è frastornato da tante montagne visibili contemporaneamente. Andrea è silenzioso, in contemplazione del mondo sottostante, probabilmente è in contatto sublime col suo Dio. Colgo l’occasione per rimanere 5 minuti con Luca sotto la croce; è il momento giusto per fargli conoscere la geografia delle montagne che abbiamo tutto intorno. E’ stupito da quante gliene elenco: il vicino Morrone e l’Uccettù; più a nord il Terminillo, in mezzo il Cava. A nord-est i Sibillini con la bella sagoma del Vettore in evidenza e poi, continuando verso est, la catena della Laga-Gran Sasso; di fronte, a due passi, il Costone, Punta Trento e Trieste, il gruppo del Velino quasi al completo e dietro di noi, verso nord-ovest , il Pizzo Deta, il Viglio e i Simbruini. Luca è a bocca aperta perché gli sembra tutto troppo; in effetti la giornata è di una luminosità e trasparenza quasi unica e l’impressione che ho avuto è la stessa della precedente visita, solo che allora eravamo in pieno inverno. Il Murolungo è un autentico balcone centrale dei nostri Appennini. La magia termina all’arrivo di Giorgio. Non si concede nemmeno una pausa, giusto il tempo di tre foto, decisamente non è la sua giornata e per lui questa cima è stato solo un punto di passaggio. Non condivide nulla con noi, la gioia della giornata, il panorama a disposizione, il momento entusiasmante che vivono Luca ed Andrea. Giorgio scappa. Scende verso l’anonimo Iaccio dei Montoni. Con Luca solo uno sguardo; sono troppo abituato ormai a non chiedere a nessuno più di quello che non è in grado di dare. Più tardi mi chiarirò con Giorgio; c’era sotto qualcosa e la giornata era proprio di quelle storte. Peccato! Per lui, per il panorama che ha perso e per l’opportunità di fermarsi a parlare, capire cosa stava accadendo. Peccato, poteva essere per lui e per gli altri un momento di crescita. Con Luca e Andrea mi prendo ancora qualche minuto. Per stupirmi. Per essere grato a Dio di essere esattamente in quel momento, in quel punto magico delle nostre montagne. Quando Giorgio era ormai in arrivo sulla vetta dello Iaccio noi prendiamo verso la nostra seconda tappa della giornata, la più importante perché per me nuova e mai raggiunta. Il dislivello di circa 100 metri o poco più viene coperto in quindici minuti circa e intorno alle 11 siamo in vetta allo Iaccio. Nel frattempo Giorgio non ci ha atteso ed ha preferito proseguire in solitaria verso l’affaccio della Val di Teve. Noi preferiamo fermarci sotto l’ometto di vetta. La vista dallo Iaccio consentiva una vista totale sulla piana di Avezzano; accanto Il Rozza, il Sevice e la piramide del Velino. Dopo quindici minuti Giorgio si ricongiunge a noi e finalmente ci concediamo una piacevole lunga sosta tutti uniti, per ripartire dopo una mezz’oretta verso la terza vetta in programma. Tagliamo di traverso sotto il Murolungo e ben presto raggiungiamo la sella dello stesso dove Giorgio ci comunica un suo ulteriore cambio di programma ancora in controtendenza rispetto alle decisioni pianificate. Non verrà sulla cimata di Macchia Triste con me e Luca, ma devierà con Andrea verso la grotta dell’Oro alle falde dello stupendo paretone del Murolungo. La sfioreranno saprò poi, nemmeno oseranno affacciarcisi; davvero una scelta incomprensibile figlia di una giornata nata male. Con Luca invece, di passo allegro, scendiamo e risaliamo i diversi tondi promontori che ci dividono dalla Cimata e intorno alle 11.45 ci siamo sopra. Mi accorgo subito che nella precedente spedizione non l’avevamo raggiunta davvero. L’avevamo sfiorata ma non mi va di raccontarlo a Giorgio. Dalla Cimata di Macchia Triste il Velino e la Valle dei Briganti colpiscono per l’immensità delle dimensioni. Luca è estasiato; mi colpisce il suo entusiasmo e rivivo continuamente il mio primo. Un po’ di foto, il tempo di un panino e riprendiamo la discesa verso il luogo dell’appuntamento, la prima Caparnia. Scendendo sfioriamo il lago della Duchessa, dove una piccola mandria di cavalli staziona in cerca di refrigerio. Con Luca è una piacevolissima passeggiata, parliamo di lavoro e delle impressioni della giornata; mi colpisce il suo equilibrio di giudizio. Dal lago alla prima Caparnia il gioco è fatto; venti minuti e troviamo Andrea abbandonato in un profondo sonno e Giorgio preso da una interessante chiacchierata con Gregorio. La vivacità di un cavallino, puledro di sei mesi, è entusiasmante, è come un cane, curioso e per niente spaventato, al limite del troppo. Riprendiamo la discesa alle 12.30 per tratti ripidi e ancor più sdrucciolevoli e scendiamo immediatamente di quota. Il sentiero è quello dell’andata, ripidi tornanti che ora nella luce del giorno fanno apprezzare ancora di più il fascino selvaggio della Val di Fua ci portano presto dentro il bosco. Alle 14 siamo a Cartore e il caldo è soffocante. In mezzo ai campi scout ora popolati ci ricomponiamo. La fonte è occupata a causa delle forniture di acqua ai campi scout; non trovo la cosa molto giusta ma evito prese di posizione. La giornata d’altra parte aveva già avuto molti momenti di incomprensione. Il ritorno verso Roma è stato veloce; normale e amichevole è stato il commiato tra tutti. Una volta a casa ho voluto cancellare tutte le impressioni negative della giornata sicuro che ne avrei dovuto affrontare presto le conseguenze. Dentro ho voluto tenere la meravigliosa vista che ho potuto ammirare e godere dalla vetta del Murolungo. I giorni a seguire Giorgio esploderà sul sito tutta la rabbia accumulata nella giornata. Un suo problema. Ho mediato, ma questa volta non ero in sintonia con lui, peccato